sabato 23 ottobre 2010

CelluleStaminali&BombeAtomiche


From 23 October 2010 www.StemCellsandAtomBombs.blogspot.com: Italian StemCells&AtomBombs


"O Eterno, ascolta la mia preghiera, e porgi l'orecchio al mio grido; non esser sordo alle mie lacrime; poiché io sono uno straniero presso a te,  - un pellegrino, come tutti i miei padri." (Salmo XXXIX)

E con questi versi tratti dai Salmi, lancio la versione italiana di StemCells&AtomBombs, www.CelluleStaminalieBombeAtomiche.blogspot.com.

La versione italiana del blog ha un posto speciale nel mio cuore perché, nonostante io viva ad Osaka, in Giappone, e sia nato a Woodstock, Ontario, in Canada, mia madre e mio padre sono entrambi italiani. In effetti l'italiano è la mia prima lingua visto che ho imparato a parlare bene l'inglese solo quando ho iniziato la scuola. L'italiano è la lingua della mia infanzia, la lingua che parlo con mia madre e che parlavo con mio padre, che è venuto a mancare quindici anni fa, la lingua che parlavo con mia nonna, con i miei zii, le mie zie e gli amici dei miei genitori.

Ma come spesso accade ai figli di immigrati, la comprensione della nostra lingua madre è limitata perché non abbiamo ricevuto un'istruzione nella lingua dei nostri genitori. Poco alla volta, man mano che l'inglese prendeva il sopravvento nella nostra mente, ci siamo allontanati un po' dai nostri genitori. Il nostro italiano non era sufficiente per esprimere ciò che volevamo dire ai nostri genitori, e l'inglese dei nostri genitori non era abbastanza buono per capire esattamente quello che volevamo dire... poiché io sono uno straniero presso a te.

Spero che grazie alla dedizione del team di traduttrici volontarie (Anna Recchia, Nicoletta Natoli e Daniela Bollini) mia madre possa leggere i miei pensieri da adulto e capirmi un po' meglio. Spero che sia contenta del figlio che ha cresciuto.

Ho parenti sparsi in tutto il mondo. Dall'Italia alla Svizzera, i fratelli di mio padre e mio padre stesso per un breve periodo prima che compisse vent'anni. Dall'Italia all'Argentina, il fratello di mio padre che è morto lì dopo poco tempo. Dall'Italia all'America per due volte e poi di nuovo in Italia, il mio bisnonno dalla parte di mia madre. Dall'Italia alla Francia e dall'Italia a Boston in America, gli zii di mia madre. E dall'Italia al Canada, mio padre a diciannove anni e mia madre intorno ai venti, insieme ai tanti cugini di mio padre che erano già lì, e, dalla parte di mia madre, tutti tranne due sorelle, più mia nonna. Probabilmente ho cugini in posti che nemmeno conosco.

E adesso io, che mi sono trasferito in Giappone dove ho due figli che sono per metà italo-canadesi e per metà giapponesi. Mia moglie scherza su dove vivranno un giorno i miei ragazzi, ma io sono irremovibile, la storia della migrazione dei Tesolat finirà con me. Non voglio che i miei figli siano pellegrini, come tutti i miei padri.

La mia più grande paura, se continuo a vivere in Giappone, è che i miei figli diventino per me quello che io devo essere diventato per i miei genitori, un figlio che non era capace di comprendere a pieno le vite e la lingua dei suoi stessi genitori. Temo che anche i miei figli diventino stranieri rispetto a me. Questa è la solitudine che devono aver provato tutti i nostri genitori e nonni immigrati, e ora è arrivato il mio turno.

Da quando sono venuto in Giappone, un Paese con pochissimi immigrati europei, sento un legame speciale verso i miei genitori e parenti che sono stati pellegrini prima di me. Ricordo le lunghe telefonate con una cara zia, e  ricordo come sia cambiato il suo modo di parlarmi quando sono partito dal Canada. Mi parlava in un modo più profondo, come se, essendo io stesso un immigrato, potessi capire molto meglio il suo cuore. Certo, non ho mai conosciuto le difficoltà economiche che ha vissuto lei e non ho dovuto lasciare il mio Paese d'origine a causa delle condizioni economiche (nonostante anch'io abbia lasciato il Canada a causa di una recessione che aveva reso difficile la ricerca di un lavoro), ma in verità non mi parlava di queste cose. Mi parlava della sensazione di solitudine che si prova ad essere uno straniero in una terra straniera, a non avere sua madre accanto a sé, e questo potevo capirlo benissimo...  O Eterno, ascolta la mia preghiera, e porgi l'orecchio al mio grido.

Simile  alla solitudine dell'immigrato è la solitudine di chi è malato, o paralizzato come nel mio caso.

Penso alla mia stessa situazione. Improvvisamente paralizzato all'età di 39 anni, con due bambini da crescere in un Paese che non è il mio. La solitudine viene a trovare anche me di tanto in tanto.

La solitudine non è onnicomprensiva. La vita non si ferma per il malato o l'immigrato. Familiari e amici si sposano, nascono bambini e vengono battezzati, i bambini crescono, vanno a scuola, trovano un lavoro, si innamorano e infine si sposano e ci rendono nonni. Ci sono davvero troppe cose belle e persone buone attorno a noi per sentirsi soli tutto il tempo.

Ma come una vecchia amica di cui ogni tanto ci dimentichiamo, la solitudine viene a farci visita.

Per quello che mi riguarda, viene a trovarmi ogni giorno quando apro gli occhi la mattina. Rimane per un po', abbastanza per farmi sapere che è ancora lì. Sono sicuro che non la vedrò così spesso in futuro.

Per gli immigrati la solitudine si fa sentire soprattutto quando c'è una morte o una malattia nel Paese d'origine. Quando di fatto viene loro strappata via un'altra delle radici che li legano al passato. Ricordo questi momenti, a casa quando ero piccolo, e ricordo quando mio padre è morto e io ero in Giappone. Posso immaginare come si sia sentita la mia famiglia quando li ho chiamati e gli ho detto che ero paralizzato.

La solitudine si fa sentire anche durante i momenti felici, nonostante tutte le facce amiche attorno a noi, l'immigrato pensa a tutti quelli che non ci sono più: una madre, un fratello, un figlio. Posso immaginare come si siano sentiti i miei genitori durante i momenti felici in Canada, perché so che la solitudine è andata a trovarli così come ha fatto visita a me quando sono nati i miei due figli, lontani dalla loro nonna in Canada.

E la solitudine viene a trovarmi anche quando vedo gli altri padri giocare con i loro figli, andare in bicicletta, correre nel parco; tutte quelle cose che io non posso fare con i miei figli adesso. Quando vedo queste cose posso sentire sulla mia spalla la mano della mia vecchia amica.

Coloro che circondano l'immigrato e il malato non possono mai cancellare completamente questa sensazione di solitudine, ma possono accrescerla, soprattutto quando la società in generale li fa sentire indesiderati e non cerca di venire incontro alle loro esigenze. E questo è l'ultima questione di cui voglio parlare oggi. La questione è rivolta a tutti gli italiani, abitanti di un posto che conosco solo attraverso le storie dei miei genitori.

Oggi leggevo sul giornale in merito all'opinione degli italiani sugli zingari in Italia (il 68% degli italiani li ritiene dei criminali) e di altri spregevoli atti di violenza contro gli zingari. Chiedo agli italiani di ricordare gli emigrati che hanno lasciato l'Italia in cerca di una vita migliore perché l'Italia non riusciva a prendersi cura di loro. In effetti, questi emigrati che hanno lasciato l'Italia l'hanno aiutata a risollevarsi dopo la guerra.

E chiedo anche a voi in Italia di dare un'occhiata ad alcune importanti parole e cifre dal Canada.

“... tra gli scioperanti la maggioranza degli stranieri, soprattutto italiani, che a quanto pare si sono preparati a ricevere l'opposizione contro le loro richieste sfoderando il coltello, l'arma nazionale del 'dago'... ”(Daily News 1906).

“Una ghenga di bambini arriva gridando da una piccola strada laterale. Sono dei mascalzoncelli piccoli e sporchi, con i capelli spettinati e i vestiti tutti strappati. Ti chiedi perché non siano a scuola”. (Margaret Bell, sulle condizioni sociali degli italiani a Toronto, 1912).

E solo per non farvi pensare che io stia scrivendo di storia antica, non più tardi del 1977 un sondaggio sull'opinione dei canadesi nei confronti degli italiani per la prima volta indicava che il 40% dei canadesi collegava gli italiani al crimine.

Una società che si rivolta contro gli stranieri che ne fanno parte presto diventerà una società che si rivolta contro gli altri membri deboli e li tratterà come un peso. Prima gli immigrati, poi gli anziani, e infine i malati, e tutto questo servirà solo ad aumentare la loro solitudine.

D'altro canto invece, una società che fa un passo avanti verso chi è solo, raggiungerà grandi risultati.

Non dalla scienza, ma da un sentimento di fratellanza; è da lì che riceverò le mie cellule staminali.

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